Una vita come tante

Una vita come tante di Hanya Yanagihara parla di trauma, e non si risparmia: dà parola e forma a un trauma che è tra quelli che più arrecano disturbo e scompiglio, quello della violenza sui bambini. E non si accontenta di sviscerare solo un episodio tragico, ma numerosi episodi di violenza che fanno parte di un’unica e terribile esperienza. Le 1094 pagine servono proprio a dispiegare gli effetti dei molteplici traumi, partendo dalla loro eco.

Il trauma tra presenza e assenza

Al centro del trauma sono infatti le reiterazioni, l’evento traumatico che torna a vivere altre cento e mille volte nel corso di una vita. E se i traumi sono molteplici, come in Una vita come tante, diventa a dir poco insostenibile per un essere umano sopportare quelle che sono a tutti gli effetti delle sgradevoli presenze, fantasmi vivi che ti tormentano costringendoti a tornare con il corpo e la mente a rivivere lo stesso momento drammatico. Come sopravvivere? Hanya Yanagihara ci mostra che il cervello abilita delle dimenticanze, anche lunghe: per proteggerci interviene un’assenza. Quell’assenza però non è solo assenza di ricordo, ma è un temporaneo equilibrio, continuamente rotto da flashback, che si manifestano in modi inaspettati e che causano esplosioni di dolore.

Questo è Jude, il protagonista, che dovrebbe descrivere una condizione universale umana in questo gioco di presenza/assenza del ricordo (e del dolore). L’autrice vuole delineare la sua condizione psicologica in maniera molto ampia, e così si carica di un compito molto arduo.

È pesante, per il lettore, vivere quelle ripetizioni che attorno alla violenza ruotano, la quale, pagina dopo pagina, si svela sempre di più nella sua crudezza. Bisogna immergersi nella vita di un bambino orfano, stuprato, autolesionista, torturato. Un bambino da un lato impossibilitato a crescere perché incastrato nel tempo del trauma, da un lato adulto fin da sempre. Un bambino a cui è stata rubata l’innocenza nei modi più atroci. L’avanzare della vita, dopo aver esperito anni di soprusi che causano la nausea a qualunque lettore medio, è faticoso e terribile per lui. L’autrice riesce nel compito di offrire al lettore il fardello di un grande carico emotivo: abbiamo la gola serrata per l’angoscia, per un uomo che ha solo voglia di dimenticare tutto, e quindi di morire. Entriamo nella mente di un uomo che sente l’esigenza di squartarsi le braccia con delle lamette, per pulirsi, lavarsi dal male che sente dentro di sé come ancorato alla sua persona. 

Il mal di vivere di Jude è il cuore di Una vita come tante. Che come tante, però, non è. 

Il binomio amore e violenza

L’elemento che traina il romanzo sono i legami di Jude, una rete di persone che lo ama instancabilmente, incondizionatamente, fedelmente. Le attenzioni degli amici sono innumerevoli, molti personaggi sono solo ruoli con personalità non identificate a supporto della macchina di amore per Jude, e che serve all’autrice per offrire una riflessione sul potere dell’amore. Tutti amano Jude, anche se lui non sente di meritarlo. Lo sfondo è la New York della performatività, la New York dei soldi e del successo, del tutto è possibile.

Non è mai del tutto chiaro perché Jude da adulto arrivi a ricevere tutto questo amore, nè a lui a causa dei suoi traumi nè a noi, perchè non ci viene raccontato: si sa solo che la Yanagihara è decisa a mostrarci quanto gli altri possano prodigarsi per Jude, anche quando lui si comporta nel modo peggiore. Molto spesso l’amore è dimostrato con la semplice presenza, per cui l’autrice elenca i partecipanti a vari eventi della sua vita, tentativi goffi di quantificare l’amore. Jude è circondato di persone che fanno presenza, Jude viene compreso nella sua fragilità, supportato, addirittura trova una nuova famiglia.

C’è però un enorme discrepanza tra la violentissima infanzia di Jude bambino, il prima, e il dopo: la storia perde di complessità e si stabilizza in due blocchi opposti entrambi troppo enfatizzati sul polo violenza/amore. 

Le vie di mezzo non ci sono. C’è solo un episodio, che sarà scatenante nel far rivivere il trauma al protagonista, ma che è inverosimile proprio perché si presenta come fortemente monolitico. Una persona entra a caso nella storia con la sola funzione di rappresentare la violenza più pura, e lo fa nel modo più dirompente e insensato che ci sia. 

Credo che la violenza sia un tema molto più complesso del “male assoluto”, credo che semplificare il male identificandolo con il desiderio sessuale perverso sia insufficiente (soprattutto se non è messa in discussione la violenza maschile, ma di quello accennerò a breve). Credo che ci siano tanti gradi diversi di violenza, e che quella invisibile sia altrettanto dolorosa, per quanto sembri muta, e venga ignorata dalla Yanagihara in favore di una violenza più spettacolarizzata, carnale, diretta, semplificata dall’atto. Persone cattive che fanno cose cattive, senza senza se e senza ma. Senza contesto e pretesto.

In tutto ciò, Jude prova a lasciarsi amare, piuttosto invano, a seconda del legame che stringe. Questo l’ho trovato anche più faticoso del racconto delle violenze: gli sforzi altrui sono spesso miseri nei risultati, oppure poco convincenti. O solo fallimentari, ma comunque costanti, ripetitivi fino alla noia, talvolta melensi. Il legame più frustrante è quello con Andy, medico che arriva a chiamarlo ogni notte per assicurarsi che non si uccida. Tutti gli amici di Jude sono instancabili angeli benefattori che gli vengono in aiuto e si oppongono in modo netto ai bruti pedofili del passato, di cui farò a meno di discutere.

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UN ROMANZO DI MASCHI PER MASCHI

L’assenza di donne in Una vita come tante è stata disturbante. Le donne sono ovunque, certo, ma ruotano solo attorno al maschio. Neanche una ha volto o pensiero, neanche la più presente che è Julia. In ogni scena, lei è sempre o al supermercato, o a fare un pisolino, o accompagnata al suo compagno, Harold, ma muta e impersonale. Di lui sappiamo tutto, arriva a prendere voce in vari capitoli con il suo punto di vita. Lei è un +1, così come tutte le altre che sono soltanto fidanzate, oppure lesbiche o madri molto lontane. Le donne della Yanagihara sono solo ruoli, e non lo accetto. L’autrice ha scritto di maschi per maschi. Non tutti hanno compreso il pensiero femminista, purtroppo, e certo questo spiega perché il tema amore/violenza abbia così poche sfumature. 

L’ambientazione, comunque, è una New York sfavillante di cultura e soldi. Non ci sono conflitti di classe, in questo romanzo, perché tutti i personaggi diventano schifosamente ricchi e affermati. C’è un accenno all’identità nera, ma è solo un non riuscito tentativo di tratteggiare altri personaggi e aggiungere carne al fuoco. Tutti i personaggi che ruotano attorno a Jude non sono reali, nè verosimili, nè approfonditi, ma solo un contorno, un contorno di maschi ricchi e affermati.

Tutto lo spazio del racconto è per Willem, personaggio che, per quanto incaricato di essere la fonte d’amore primaria per Jude, è un personaggio stantio e banale. Il suo accudimento per un fratello disabile nell’infanzia si trasforma nel bisogno di accudire la persona con trauma (non si poteva pensare a qualcosa di meno standard e stereotipato nel tratteggiarlo psicologicamente?), e la sua vita è solo un esserci per gli altri. Non per niente fa l’attore, le sue sono performance per gli altri.

Una vita come tante in conclusione

Una vita come tante è comunque il tentativo di fare narrazione sulla pedofilia e sul trauma infantile, e quindi di dare voce a qualcosa che non ha molto spazio nel dibattito sociale, o almeno non quanto altre tematiche. Troppo scandalosa, la realtà che si cela dietro la pedofilia resta un tabù per tanti: forse per questi spacciano questo romanzo come un libro sull’amicizia tra quattro amici. L’amicizia vende più della pedofilia, e ha un target preciso di umanisti. 

Mi resterà dentro, come una scheggia, la profonda comprensione dell’atto autolesionista, del bisogno di procurarsi dolore, soprattutto quando esso nasce a partire dall’infanzia. Mi resterà dentro la vitale importanza del preservare i bambini da ogni forma di violenza, e l’impossibilità di guarire ciò che si radica dentro per non andarsene via. Ci sono cose che non è possibile sistemare, sembra dire questo romanzo, ci sono violenze che non si possono perdonare nè esperire senza tragiche conseguenze.

Una vita come tante ha avuto grande successo non di critica ma di pubblico: mi chiedo se quest’ultimo si sia appassionato a un dramma dalle tinte molto dark, come dimostra il successo di podcast crime di questo periodo, o se si sia fatto ingannare da una buona campagna di marketing sostenuta da editori furbi. O ancora se, più semplicemente, si sia fatto conquistare dalle fragilità di un protagonista che arranca nella vita.

Su questo, a voi la parola. 

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